Ricordo ancora l'odore. Non solo quello delle arance e del torrone, ma l'odore inconfondibile di "casa di nonna Maria a Natale". Un misto di ragù che sobbolliva da ore, di detersivo per i piatti usato per l'ennesima infornata di bicchieri e, soprattutto, l'odore di aspettativa. Un'aspettativa che, da bambino, era pura magia, e che oggi, da prossimo cinquantenne, si è trasformata in una dolcissima nostalgia, intrisa della consapevolezza di essere diventato uno dei custodi di quelle stesse tradizioni.
Un labirinto di sedie e tovaglie: Il prologo alla grande abbuffata
Il Natale in Sicilia non comincia il 25 dicembre, ma giorni prima con la grande manovra delle sedie. La casa di mia nonna, nel cuore di un piccolo paese a cavallo fra la provincia di Palermo e quella di Trapani, non era fatta per accogliere venti, trenta persone. E così, già dalla vigilia, s'iniziava la caccia al tesoro. "La sedia di legno della cucina, quella impagliata!", "Il pouf del salotto, sì, quello scomodo, ma almeno fa numero!", "Porta il tavolino da caffè, lo affianchiamo, tanto è solo per appoggiare i gomiti!". Era un'architettura temporanea, un Frankenstein di mobili, tenuta insieme dalla volontà ferrea di far stare tutti, anche a costo di gomiti che si toccavano e gambe che si incrociavano sotto tovaglie che non combaciavano mai perfettamente, ma che venivano stese con amore.
"La tuppuliata coi piedi": Un ingresso trionfale (e affannoso)
E poi, il momento degli arrivi. Le case siciliane, specie a Natale, hanno un solo problema: non bastano le mani per aprire la porta quando si ha il campanello in funzione e le braccia impegnate a trasportare le famose "guantiere". Ricordo ancora la risata di mio padre quando, sentendo il campanello suonare, esclamava: "È u zu' Nino chi tuppulia chi pedi!". Già, perché gli ospiti, carichi di "cosi duci" (dolciumi, ma in siciliano ha un suono così più avvolgente), di panettoni, bottiglie di spumante e regali, bussavano con il piede per segnalare la loro presenza. Entravano con sorrisi smaglianti e il profumo di fritto dei sfincioni o il dolce sentore del buccellato appena sfornato o delle leccornie della rinomata pasticceria cittadina, contribuendo al sinfonico caos olfattivo che già regnava sovrano. Era un rituale, un'esplosione di abbracci, baci, schiamazzi e quella frase immancabile: "Ma non dovevate disturbarvi!" (detta mentre già si cercava un posto dove appoggiare la "guantiera").
Il teatro della tavola: Tra aneddoti, "processi" e risate scomposte
Una volta seduti, o meglio, incastrati, il vero spettacolo aveva inizio. La tavola siciliana è un palcoscenico dove si recita la commedia della vita familiare. Mia nonna, con i suoi occhi vispi e un sorriso che tradiva decenni di storie, era la nostra "regista". Era lei che dava il via agli aneddoti, spesso sempre gli stessi, ma mai noiosi.
"Ti ricordi quando tuo nonno, nel '58, a San Giuseppe Jato, si perse cercando di portare il presepe vivente in chiesa e finì nel cortile del sindaco con una pecora?" – E giù risate, unanime. Nonno, che ormai non c'è più, era il nostro eroe comico. I cugini più grandi annuivano con aria di superiorità, mentre noi bambini ascoltavamo rapiti, immaginando un nonno giovane e avventuroso.
E poi c'erano i "processi". Non erano cattivi, mai. Erano piuttosto un modo per tenere tutti aggiornati e per esercitare una forma di affetto un po' invadente. "E tu, che fai con l'università? Ti laurei o vuoi fare il mantenuto a vita?", diceva mia zia Pina a un cugino più grande, con un tono che non ammetteva repliche ma che in fondo nascondeva la preoccupazione tipica delle zie siciliane. Le conversazioni potevano diventare accese, specie sulla politica o sulla Juventus, ma non sfociavano mai in litigi veri. Erano fuochi di paglia, destinati a spegnersi con la successiva frittura di sfince o l'arrivo trionfale della pasta al forno.
L'incantesimo di Babbo Natale: Zii scomparsi e sorprese magiche
Ma il momento più atteso per noi bambini era l'arrivo di Babbo Natale. Non era mai un arrivo silenzioso. Di solito, poco prima che i regali venissero distribuiti, uno degli zii più burloni, con una scusa del tipo "vado un attimo in bagno, ho mangiato troppo!", spariva nel nulla. Noi bambini lo sapevamo, lo sentivamo. I nostri occhi si scambiavano sguardi complici, un misto di ingenuità e furbizia.
Poi, un forte "Oh oh oh!" proveniente dal corridoio, o a volte, per i più avventurosi, dalla porta d'ingresso. Ed eccolo, Babbo Natale! Spesso era lo zio Agostino, con una barba finta che gli pizzicava il naso e un costume rosso un po' troppo stretto. La sua voce era diversa, gutturale, ma i suoi occhi, sebbene nascosti dagli occhiali, erano inconfondibilmente quelli di zio Ago. Ci faceva sedere in braccio, ci chiedeva se eravamo stati buoni, e distribuiva i doni, tra urla di gioia e pacchi scartati con foga. L'odore della sua barba finta, di sudore e un vago sentore di dopobarba, è ancora impresso nella mia memoria. Era la magia del Natale, un inganno collettivo e dolcissimo.
Dopo il dolce, la vita continua (e si gioca a tombola)
Finita l'abbuffata di cassata, cannoli, frutta martorana e torrone, la tavola non veniva smantellata. Anzi, si trasformava. Le posate venivano rimosse, ma il campo di battaglia dei piatti rimaneva. Era il momento della tombola, o delle carte. Le monetine da 50, 100, 200 lire venivano usate per coprire i numeri, e le urla di "Cinchina!" o "Ambo!" risuonavano nella stanza. I bambini, stremati ma euforici, iniziavano a giocare con i nuovi regali, o si raggomitolavano sui divani, tra il frastuono delle risate degli adulti e il crepitio del fuoco nel camino.
Tra vecchio e nuovo: Il Natale oggi
Oggi, quelle sedie di fortuna sono ancora lì, forse un po' più scricchiolanti. La "tuppuliata coi piedi" è un rito che non muore mai, e tutti ci prepariamo all'evento tramite l'apposito gruppo WhatsApp creato per l'occasione. E sì, tutti hanno uno smartphone in mano. Vedo i miei nipoti filmare l'apertura dei regali per TikTok, e i cugini più grandi controllare le notifiche tra una portata e l'altra.
Ma la magia, in fondo, non è cambiata. Le vecchie storie di nonno Peppino e del presepe vivente vengono ancora raccontate, magari con l'aggiunta di un filtro Instagram. Lo zio che "va in bagno" scompare ancora, e riappare con la barba bianca, anche se i bambini di oggi sono un po' più smaliziati e lo riconoscono quasi subito. E la tavola... ah, la tavola! Resta il cuore pulsante di tutto. Lì, tra un sorso di vino e una fetta di panettone, si continua a parlare, a ridere, a discutere animatamente.
Perché il Natale siciliano, al di là degli smartphone e dei nuovi ritmi, è un'eredità. Un legame indissolubile con la famiglia, con le radici, con l'odore inconfondibile di ragù, di risate e, soprattutto, di amore. Ed è un legame che, di anno in anno, continua a tessere la trama indelebile della nostra storia.